Essendo stato anch'io come Conte (incerto sull'utilizzo di Llorente) assalito alla vigilia da un dubbio amletico, se sacrificare la cerimonia del Battesimo del figlio del mio amico Sem alla partita per partecipare al solo ricevimento, ho poi scelto la soluzione più normale (e dolorosa) di rinunciare alla (tele)visione e di ritornare alla cara vecchia radio, almeno per il primo tempo.
Quanti ricordi sono affiorati alla mia mente, quante domeniche trascorse con mio papà davanti al mobiletto della cucina dove campeggiava, come su un altare, una radio grigio-marrone, quante partite storiche, un Catanzaro-Juve 0-1 decisivo per lo scudetto del 1981 (Liam Brady), un Udinese-Juve con il ritorno dopo il calcio-scommesse di Pablito e tante altre storie indimenticabili, compreso il brivido delle tante interruzioni da uno stadio all'altro. Così vivo l'assedio della Juve al fortino del Verona con la stessa palpitazione del precedente infausto in quel di Copenaghen e la stessa depressione al vantaggio di Cacciatore; esulto moderatamente per il pareggio quasi immediato di Tevez, batto i pugni sul volante per il suo clamoroso doppio palo e infine scoppio in urlo liberatorio per la capocciata vincente di Llorente.
Terminata la cerimonia, anche il telefono prevale sul più moderno tablet per completare la giornata d'antan, mio papà mi conferma il risultato finale del primo tempo, il Bordi mi descrive per filo e per segno i due gol e allora, al rientro a casa in serata, anche le immagini sembrano essere banali.
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